Pseudocereali o finti cereali “roba da vegetariani”, dicono. Niente di più sbagliato!
Fino a qualche anno fa i finti cereali erano relegati agli scaffali dei negozi di cibi naturali e destinati a una nicchia di persone con il pallino del cibo sano. Solo una cerchia ristretta di persone ne conosceva l’ottimo sapore, la versatilità in cucina e le innumerevoli proprietà benefiche.
Nell’immaginario odierno sono di tendenza, compaiono sempre più spesso nelle dispense e sulle tavole: sono il premio della biodiversità per chi la sa apprezzare e una risorsa per il futuro.
Un alimento portentoso ormai entrato a pieno titolo nell’olimpo dei “superfood”.
Vengono chiamati “supercibi”, perché sono ricchi di elementi preziosissimi per la nostra alimentazione e sono un’opportunità per affrontare il riscaldamento globale e le sfide alimentari del XXI secolo.
Sono “super” ma sono tutt’altro che cibi di laboratorio. Il nome con cui sono definiti deriva dalla loro somiglianza nutritiva con i comuni cereali, dai quali si differenziano, principalmente, per il fatto di non essere graminacee.
Una caratteristica molto interessante è la completa assenza di glutine; questo li rende particolarmente adatti alle persone celiache, ma anche alle persone a cui, semplicemente, il glutine crea qualche disturbo. Ricchissimi di proteine, sali minerali e calcio: la loro concentrazione infatti è superiore rispetto a quello dei classici cereali, sono l'alternativa sana a carne e latticini riscoperta da chef e diete salutiste.
Gli pseudocereali sono anche più bilanciati: possono vantare un maggior contenuto di fibre e un minor contenuto di carboidrati. Anche i grassi insaturi sono in quantità maggiore, grassi necessari al nostro corpo e non dannosi per la salute.
I vantaggi non finiscono qui. I finti cereali contengono vitamina C, vitamina E ed in particolar modo, vitamine del gruppo B, necessarie per un corretto funzionamento del fegato, del sistema nervoso e per il processo metabolico nell’assimilazione di lipidi e proteine.
I semi, o i chicchi, di quinoa, chia, amaranto, grano saraceno, miglio, solo per citarne alcuni tra gli pseudocereali più conosciuti, vengono utilizzati cuocendoli come pasta, usandoli per impanature o come ingredienti nelle zuppe o in aggiunta a frullati, smoothie e yogurt, oltre a trarne una farina per realizzare biscotti, dolci, pane e tanto altro.
La quinoa ad esempio, ormai non è più una novità, è anzi diventata un trend per i gourmet più sofisticati. Bianca, rossa o nera, queste le varietà del seme da gustare in tanti modi.
Gaston Acurio, famoso chef peruviano, è stato il pioniere nell’utilizzare gli pseudocerali come la quinoa nell’alta ristorazione, introducendola nel menu dei suoi ristoranti in Perù, Astrid y Gaston e Chicha. Acurio ha rivisitato numerosi piatti della tradizione peruviana, portando alla ribalta nell’alta cucina l’utilizzo di ingredienti nativi del suo paese poco conosciuti ma dalle grandi potenzialità, come appunto la quinoa. Da Lima, il passo oltre il confine è stato breve, e finalmente utilizzare la quinoa nell’alta cucina, oggi, non è più sinonimo di cucina vegetariana o fusion, ma piuttosto di apertura a ingredienti versatili e salutari.
Anche Ferran Adrià, avanguardista gastronomico, durante gli anni di El Bulli l’aveva già utilizzata come panatura dello scampo nel suo piatto “Langoustine with Quinoa”, ma non è l’unico: in carta da Daniel, ristorante omonimo di Daniel Boulud a New York, troviamo “Quinoa bianca e nera con pesto, marmellata di finocchio, carciofo confit e aglio nero”, mentre Mauro Colagreco nel suo Mirazur l’ha resa iconica nel suo piatto “The Forest”, in cui la troviamo in versione “risottata” con funghi selvatici, infatti con alcuni accorgimenti è anche possibile prepararla come un risotto.
Anche lo chef inglese Jamie Oliver, l’ha introdotta nella sua “Superfood Salad”, in cui la quinoa figura insieme a avocado, germogli misti, noci brasiliane, mandorle, melograno, patate dolci, broccoli, succo di lime e una manciata di coriandolo fresco.