Ma quanto mi costi? È la domanda che un gestore dovrebbe porsi per ogni proposta del suo locale. Non che questo non accada, solo che spesso, in particolare per quanto riguarda l’offerta food, alla domanda si risponde in modo approssimativo. Eppure che i conti tornino è uno dei requisiti fondamentali per il successo e la stessa sopravvivenza del bar. E l’esatta conoscenza del costo di ogni singola ricetta o preparazione costituisce un aspetto chiave per ottenere tale risultato.
«Un aspetto cui in molti casi non viene data la giusta rilevanza, con il rischio di ritrovarsi nel menù piatti che, dopo a un’analisi più approfondita, si scopre che appena ripagano il costo di produzione, quando non vengono addirittura prodotti in perdita - spiega Vincenzo Mascio, consulente per il mondo bar, panificazione e pasticceria, la ristorazione e l’industria -. Tale analisi approfondita si chiama food cost e consiste appunto nel calcolare il costo del cibo, secondo un metodo rigoroso che comprende il calcolo della materie prime e dei costi di preparazione del prodotto. Una disciplina alla quale dedicarsi con molta attenzione».
Il food cost rappresenta dunque uno strumento fondamentale sotto diversi aspetti perché:
- Permette di capire qual è il reale costo del prodotto;
- Consente di tenere sotto controllo la spesa del locale;
- Rappresenta un primo parametro per la definizione del prezzo finale del prodotto, evitando che questo sia troppo caro, risultando difficilmente vendibile, o troppo basso, rischiando quindi di trasformarsi in una fonte di perdita;
- Permette di manovrare la leva dei costi e dei ricavi;
- Consente di migliorare nel tempo la performance e la redditività del locale.
Occhio agli scarti
Nella definizione del food cost di una preparazione il primo elemento da considerare è il costo della materie prime, che si calcola moltiplicando il costo al grammo di ogni ingrediente per i grammi utilizzati. Ad esempio, per un classico panino farcito con prosciutto crudo, mozzarella e maionese, dovrò sommare il costo del prosciutto, del quale ho usato 100 g e che ho acquistato a 25 euro al kg, quindi 2,5 euro, a quello della mozzarella e della maionese.
Al totale ottenuto sommando il costo degli ingredienti, poi, si attribuisce una percentuale di “sfrido”, relativa cioè a scarti e sprechi di materia prima, in quanto un ingrediente in molti casi non può essere utilizzato interamente, così come non è detto che tutte le preparazioni vengano vendute. Ad esempio un pezzo di prosciutto ha anche la cotenna che non posso utilizzare, così come non utilizzo la prima fetta.
«Una percentuale che può variare dal 5 al 10%, a seconda delle preparazioni e delle materie prime, considerando che ingredienti a foglia e verdure, se approvvigionati al mercato, così come pesce, carne, frutta hanno un incidenza di scarti importante, e delle stesse modalità di vendita, perché se faccio una vetrina di panini può accadere che qualche pezzo avanzi, pezzo che però ha comportato un consumo di ingredienti che sono stati acquistati», spiega Mascio.
Produttività e spese fisse
Altro elemento da non trascurare è il costo di preparazione, o la produttività, ovvero il tempo-lavoro necessario per preparare un prodotto.
Comprare l’insalata già lavata o il salume già affettato costa certamente di più rispetto a quella da lavare o al salume intero. Ma se nel prezzo si inserisce anche il tempo necessario per la preparazione, si può scoprire che quello che era reputato più conveniente in realtà non lo è.
«Anche in questo caso il calcolo va fatto per singolo prodotto, o categoria di prodotto, facendo attenzione a non limitare il calcolo alla produttività del personale, ma valorizzando anche il tempo del gestore, se questo si occupa direttamente di tale attività», sottolinea l’esperto.
Ci sono poi altre spese che, pur non rientrando nel food cost, concorrono nella definizione del costo di un prodotto, quali i consumi delle utenze, i costi di ammortamento delle strutture e delle attrezzature, quelli per la manutenzione delle apparecchiature, ma nel conto si possono includere anche tutte le altre spese generali. Se calcolarli per ogni prodotto è molto complesso, si può comunque andare a misurare la loro incidenza sul fatturato.
«In pratica, una volta fatta la somma di queste spese su base annua, questa si rapporta al fatturato totale in modo da ottenere la percentuale di incidenza – spiega l’esperto -. Percentuale che vado ad aggiungere al food cost di ogni preparazione e al costo del lavoro ottenendo così un quadro completo dell’effettivo costo di un prodotto».
Definire il prezzo finale
Un quadro che rappresenterà un fondamentale riferimento per definire il giusto prezzo di vendita finale.
«Attenzione, però, non l’unico, perché quest’ultimo deve tenere conto anche di altri aspetti, come il tipo di clientela, la posizione dove si trova il locale, l’offerta e i prezzi della concorrenza – avverte Mascio -. Un’attenta valutazione dei costi costituisce quindi quella base di conoscenze che permetterà di fare una serie di ragionamenti e scelte sulla composizione del menù, decidere su quali piatti e preparazioni puntare, quali ingredienti utilizzare, magari evitando materie prime eccessivamente costose a favore di altre che, fatti salvi buoni livelli di qualità, garantiscono margini migliori, tenendo così i conti sempre in ordine, senza rischiare di rimetterci, e rendendo il locale più competitivo».